Quando ero bambina le persone non viaggiavano molto.
Quando ero bambina, le persone non viaggiavano molto. Vigeva il mito della seconda casa. Molti investivano su una residenza secondaria al mare o in campagna, o semplicemente sfruttavano la casa di famiglia, ovunque questa si trovasse, per concedersi il meritato riposo. Altri più avventurosi, si concedevano il brivido della vacanza spartana ma divertente in campeggio.
Mio padre ha sempre manifestato una certa avversione a quell’idea di stessa spiaggia, stesso mare. Quando tutti investivano sul cemento o affittavano case estive, lui e mia madre decisero di comprare un camper. Cambiare apre la mentre. E non ci si annoia mai visitando luoghi nuovi, i nostri nuovi pensieri magici.
I luoghi del cuore

Certo, questo non escludeva l’esistenza di certi luoghi del cuore. La prima volta che andammo a Favignana, durante i mondiali Italia – Brasile, fu una folgorazione. Ce ne innamorammo tutti.
L’isola era ancora brulla, selvaggia e con poche, pochissime, strutture turistiche. Si andava lì per entrare in simbiosi con la natura.
E noi, trascinati dell’amore di mio padre per gli scogli e la loro fauna, ci innamorammo tutti di Grotta Perciata.
Il bisogno di vedere altri luoghi è sempre stato insito nel DNA dei miei genitori e probabilmente questo è stato trasmesso congenitamente a noi figli.
Viaggi d’infanzia d’estate
L’estate rappresentava per noi bambini un periodo di disintossicazione: niente tv, niente videogiochi, ma tanti libri, creatività, giochi all’aria aperta, viaggi e momenti in famiglia.
Viaggiare era un modo per ritrovarsi, per dedicarsi del tempo l’un l’altro a vicenda, al di fuori della nostra routine, per ristringere legami tra noi in quanto famiglia.
Le lingue straniere
Mio padre parlava un po’ d’inglese e un po’ di francese. Quando gli mancavano i vocaboli in una lingua li cercava in automatico nell’altra. Esattamente come facevo io durante i primi mesi di vita all’estero, specialmente quando la mia pronuncia sembrava rappresentare un ostacolo alla comprensione degli altri.
Giugno col bene che ti voglio
Il mese di giugno segnava l’inizio dell’avventura: la fine della scuola, l’inizio del conto alla rovescia, le carte stradali e le guide dei campeggi d’Europa, che riempivano ogni angolo della scrivania dei miei genitori.
Il rito della preparazione del camper era la parte più noiosa dei viaggi d’infanzia. Più si avvicinava un viaggio, più le nostre visite al camper aumentavano: lo rifornivamo di spesa, abiti, biancheria, giochi, libri, effetti personali, carte da gioco e frutta secca.
Per noi bambini quelli erano momenti d’attesa lenta e apparentemente infinita.
Verso l’avventura
Il giorno della partenza è sempre stato un giorno di festa. Mio padre parcheggiava il camper sotto casa per definire i preparativi finali e poi via, verso l’avventura.
Nelle ore che precedevano il nostro ingresso in terra straniera, mia madre aveva istituito l’abitudine di istruirci su vocaboli di cortesia nella lingua locale: buongiorno, grazie, arrivederci, quanto costa?… maneggiando agilmente dizionari e frasari. Quello era il segnale che l’avventura stava realmente iniziando e che la mattina successiva, probabilmente, ci saremmo svegliati oltre la frontiera.
Nel mio immaginario di bambina le frontiere dovevano rappresentare un cambiamento netto tra un paese e l’altro. Come se natura e architettura potessero cambiare radicalmente a distanza di pochi metri.
Durante i primi anni di viaggi, la delusione di vedere invece una continuità territoriale e banalissimi posti di blocco, ha lasciato presto spazio all’entusiasmo di sentire parlare una lingua straniera e di leggere – dal momento in cui ne sono stata in grado! – le insegne in lingue sconosciute.
Oggi i viaggi sono più brevi, più frenetici ed intensi. Non riusciamo più a godere del lento viaggiare, dello scorrere del tempo a dimensione umana, accettando anche gli imprevisti meno piacevoli (come il bucare una gomma gemmellata, per esempio). Riusciremo più a godere di questo tempo fuori dal quotidiano, per ritrovarci come individui all’interno di quel piccolo nucleo sociale che in fondo conta più di tutto? E noi genitori, che viaggi d’infanzia lasceremo in eredità ai nostri figli?
Praticamente hai descritto le mie vacanze di quando ero bambina 🙂 A giugno ricordo che anche io e mio fratello iniziavamo il conto alla rovescia e poi aiutavamo i nostri genitori a preparare il camper. Abbiamo girato molto in Italia per i ponti o i weekend lunghi, mentre in estate i miei sceglievano mete al di fuori dei confini nazionali. Che bei ricordi!
Sono contenta di condividere questo ricordo. Ed incredibilmente mi ritrovo nelle parole del tuo commento, come se le avessi scritte e pensate io! Che emozione! Era davvero un bel modo di viaggiare… e ricordo anche che abbiamo conosciuto tantissimi italiani (quasi tutti camperisti!) all’estero! 🙂 Magari ci siamo incrociate da bambine 😉