La vita da expat non è sempre rose e fiori. E non mi riferisco solamente a quel fondo nostalgico che tiene sempre vivo il ricordo della famiglia e degli affetti in un angolo del cervello, ma alla gestione quotidiana della vita: la socialità cambia. E gli amici, seppur appena conosciuti, diventano la risorsa più grande, la famiglia eletta oltre i confini del proprio paese. Non esistono più i pranzi pantagruelici in famiglia o le scampagnate in campagna con gli amici, ma cene, pranzi o picnic a piedi nudi nel parco durante la bella stagione, qualora questa decida di essere clemente e di offrire qualche giorno sereno (chi vive nel Nord Europa non è sempre fortunato).
La genitorialità
Decidere di avere un figlio è una scelta personalissima che attiene alle coppie. Nella nostra vita da expat, una costante che ho avuto modo di sperimentare di persona, è la perenne preoccupazione che genera l’idea di aver un figlio all’estero. Come se la neomadre possa avere difficoltà a seguire un corso preparto, a ricevere le indicazioni durante il parto o a riprendersi subito dopo.
Il mito del partorire con tutta la famiglia attorno è duro a morire. Dopo aver partorito mi sono accorta che è fondamentale condividere quel momento col papà. In Francia la presenza del padre è prevista durante l’intero ricovero: dal pretravaglio al post parto.
I papà sono invitati a rimanere durante il soggiorno, possono usufruire di materassi e lenzuola per riposare la notte, ma soprattutto sono istruiti dalle ostetriche durante le prime ore di vita del bébé per padroneggiare le procedure d’igiene: dal cambio del pannolino, al bagnetto, fino alla vestizione. Questo permette alle mamme di riposare e ad i papà di realizzare in modo concreto la loro paternità.
Dalla sua nascita, Lilou non ha mai abbandonato la nostra camera d’ospedale. Abbiamo trascorso ogni istante insieme, condividendo l’intero soggiorno. L’unica separazione (forzata) del papà è stata dettata dalla necessità di dover registrare la nascita in comune.
Non abbiamo sofferto particolarmente l’assenza di visite del parentado. Non che la cosa non ci avrebbe fatto piacere, sia chiaro. Tra le nostre poche ore di sonno, la mia non proprio perfetta forma fisica e la scoperta dell’allattamento su richiesta, vedere qualche viso amico ed una delle nonne presenti è stato ugualmente piacevole. Abbiamo avuto il tempo di trovare dei nuovi ritmi prima di aprire nuovamente la porta di casa alle visite.
Non tutte le condizioni che escono dall’ordinario, cui siamo abituati, sono negative. Al contrario, possono rivelare aspetti positivi. Il parto all’estero è stata una di queste.
Genitori Expat
Quando si decide di avere un figlio, il peso delle responsabilità aumenta esponenzialmente. In particolar modo, nella nostra vita da expat, si puo’ contare unicamente sulle proprie forze e al massimo su un asilo nido o un/a baby-sitter. Nonni e nipoti hanno relazioni part-time, estremamente intense durante i periodi di vicinanza, coltivate grazie a strumenti tecnologici, videochiamate e, nel nostro caso, album fotografici. Parlare della famiglia lontana, cosa che per nostro figlio è normalità, è forse il momento che rafforza di più i legami con i nostri affetti in Italia.
La questione della lingua entra a far parte della comunicazione. Se senza figli è possibile passare da una lingua all’altra, l’arrivo dei pargoli obbliga, in qualche modo la famiglia, a familiarizzare con la seconda lingua dei nipoti. Seppur in casa si parli solo italiano, Lilou ha sempre dimostrato un interesse maggiore per il francese. Molte parole di uso quotidiano non vengono neanche tradotte in italiano, al contrario, spesso, si limita ad aggiungere una vocale, come la “a” o la “o” alla fine di una parola.
Per i nonni questo implica uno sforzo: imparare il linguaggio quotidiano in un’altra lingua. Parole comme “pappa”, “nanna”, “bua” possono essere fondamentali nella comunicazione. E poco importa che l’accento non sia perfetto, occorre capirsi un minimo. Al resto pensa l’affetto, con il suo linguaggio del cuore.
Questi prezzi da pagare sono spesso alla base di una scelta di vita che ha richiesto sacrifici, che si è nutrita di dubbi, nel tentativo collettivo di veder riconosciuto il proprio lavoro, lavorare nel proprio ambito o, semplicemente, avere uno stipendio adeguato. Le motivazioni che spingono le persone ad espatriare sono tante, personalissime e rispettabili. Ma quanto è grande la contropartita?
Crescere tra due culture
Se durante i primi mesi di vita del bébé non è stato semplice cogliere i vantaggi, oggi iniziamo a vederne i primi risultati. Sicuramente lo sforzo più difficile è trovare il giusto equilibrio tra le abitudini italiane e quelle francesi nel nostro caso. Allattamento, svezzamento, protocolli pediatrici, calendario dei vaccini… tutto puo’ diventare un motivo di confusione/scontro con le abitudini che sopravvivono in famiglia da numerose generazioni.
Fidarsi del proprio istinto, supportati da un buon medico, è forse il punto di partenza principale per affermare il proprio ruolo genitoriale. Imparare a comprendere le necessità del proprio bambino è un lavoro che si costruisce nel tempo. Non abbiate paura, lasciatevi condurre dal vostro nuovo ritmo familiare. Per noi questo è stato fondamentale per prendere delle decisioni e scegliere, per esempio, di seguire lo svezzamento francese che il bébé ha particolarmente apprezzato.
Oggi il nostro bimbo è molto a suo agio in qualunque contesto. Lui non risente della nostra vita da expat, ma vive un contesto di normalità. In Italia si adatta facilmente alle abitudini legate alle case dei nonni, a casa riprende quelle di tutti i giorni. Il bilinguismo è un punto di forza: sebbene il suo linguaggio privilegi la lingua francese, capisce benissimo l’italiano.
Bébé viaggiatori
La nostra condizione di expat ci ha spinti a viaggiare presto. Lilou aveva appena quattro mesi quando ha preso il suo primo aereo. Il nostro primo viaggio lo abbiamo fatto in due: ricordo il terrore di affrontare un volo da sola con uno scricciolino di quattro mesi. Per fortuna è andato benissimo.
Dalla sua nascita Lilou ha preso già 19 voli, alcuni per andare a trovare le nostre famiglie, altri per i nostri viaggi: voli domestici, ma anche voli a lunga percorrenza, senza dimenticare i viaggi in treno. La frequenza dei nostri viaggi ha fattosì che lui imparasse ad adattarsi a qualunque mezzo di trasporto.
Alcuni amici ci hanno fatto notare come le nostre abitudini, viste dall’esterno, diano di noi l’impressione che siamo una famiglia perennemente in viaggio. Tuttavia, quest’idea è parzialmente veritiera. Andare a trovare la propria famiglia è realmente un viaggio? Sicuramente la vita da expat favorisce gli spostamenti e la familiarità con ogni tipo di mezzi.
Durante gli ultimi viaggi abbiamo notato come l’interesse di Lilou per treni e aerei sia aumentato. E con l’interesse anche la sua partecipazione sembra essere decisamente più attiva. Speriamo solo di riuscire a trasmettergli quella curiosità verso il mondo che possa fare di lui un viaggiatore di domani.
Sono stata expat anch’io per 6 anni, prima in Cina e poi in Thailandia, quindi capisco bene tutto ciò che hai scritto. Mio figlio è nato a Shianghai e a 3 mesi ha fatto il suo battesimo dell’aria con un volo transoceanico per andare a conoscere i nonni!
I paesi cambiano – e sicuramente vivere la maternità in Asia sarà decisamente molto diverso dalle esperienze europee! – ma i viaggi e i problemi probabilmente sono simili ovunque per chi, come noi, sperimenta queste fasi della vita altrove. Grazie per questa condivisione!