Io ho sempre sognato di vedere il mondo, nella sua interezza. Quando ero bambina, i miei genitori, durante quello che ho capito dopo essere il rito della buonanotte, mi facevano scoprire libri che loro stessi avevano amato durante la loro infanzia. Sebbene avessi varcato i confini dell’Italia per la prima volta all’età di due anni e mezzo, per scoprire quel paese allora chiamato Yugoslavia, io la sera, prima di addormentarmi, aspettavo con impazienza la loro lettura a voce alta di qualche capitolo di un libro per viaggiare con la fantasia.
I Paesi Bassi
La prima volta in cui ho sentito parlare di questo paese dal nome buffo avevo cinque o sei anni. Mia madre aveva portato a casa un libro dalla copertina spessa azzurra, con un’unica illustrazione sulla prima di copertina. Ero scettica, come Alice nel paese delle Meraviglie all’inizio del romanzo di Carroll, quando dice alla sorella che lei non capisce il senso dei libri senza immagini. Mia madre mi disse di aver fiducia perché grazie all’assenza di immagini avrei fatto ricorso a qualcosa di magico, la mia immaginazione.
Il libro in questione era Pattini d’Argento, una storia che vede come protagonisti due fratelli, Hans e Gretel, un dramma familiare, la povertà delle loro condizioni di vita ed una gara di pattinaggio da vincere (il riscatto sociale). Il libro è ricco di valori positivi dal sapore antico, d’altronde è stato scritto nel 1865. Ricordo che più che la storia, ero rimasta affascinata dai panorami e dall’ambiente descritto, estremamente diverso da quello del mio quotidiano. Di certo, quel romanzo aveva fatto centro: avevo scoperto il primo libro per viaggiare con la fantasia! Una volta finita la lettura, ne ero certa, avrei voluto visitare questi Paesi Bassi! E così è stato diversi anni dopo.
Paesi che non esistono e viaggi in mongolfiera
Ho sempre sognato di salire su una mongolfiera, anche se crescendo ho scoperto di soffrire di vertigini e di non reagire benissimo ai vuoti d’aria. Eppure un libro in particolar modo ha influenzato quest’idea: il Mago di Oz, in cui Dorothy ritorna in Kansas dalla Città di Smeraldo, dopo aver vissuto numerose peripezie in compagnia dello Spaventapasseri, dell’Uomo di Latta, del Leone e del suo fedele cane Toto. Ho sempre avuto un debole per il libro più che il film con Judy Garland, forse perché il libro è ricco di avventure e di personaggi strani. O, più probabilmente, perché ne associo il ricordo alla lettura ad alta voce dei miei genitori. Solo da adulta ho scoperto che quel romanzo fantasioso, destinanto a giovani lettori, altro non fosse che un rintratto satirico degli Stati Uniti.
Contrariamente a quanto si possa immaginare, il Kansas non ha mai attirato la mia attenzione – come competere con la Città di Smeraldo?! – ma è l’idea stessa di un viaggio che fosse anche avventuroso mi ha sempre affascinata. Nella versione cinematografica (che altro non è che una versione ridottissima del romanzo) Dorothy dovrebbe intraprendere un viaggio in Mongolfiera. Tuttavia, a seguito di un problema, grazie a Glinda – la strega buona del Sud – scopre il potere delle sue scarpette rosse che la riportano a casa. E la formula magica che ripete le ricorda che non esiste posto migliore di casa propria. E questo non mi vedeva proprio d’accordo.
Quando sono stata in Turchia, volevo assolutamente andare in Cappadocia – terra di cui mi aveva mostrato delle foto la mia maestra delle elementari, grande viaggiatrice!, e che sognavo di vedere da quando avevo dieci anni. Purtroppo la vicinanza con il confine siriano in un momento in cui alcuni turisti venivano rapiti in modo insensato, mi ha obbligata a rinunciare a quella parte di viaggio per ragioni di sicurezza. Le mongolfiere sono sempre lì ed io non vedo l’ora di raggiungerle.
Un’impresa senza precedenti : il giro del Mondo
Nella nostra libreria c’era un vecchio libro dalla copertina di pelle, rossastra, senza alcuna immagine. Ricordo quando una sera, mia madre, prendendolo, mi disse: questo ti piacerà. Io ero delusa, ancora un altro libro senza immagini… come era possibile? Come avrebbe fatto a piacermi?
Ed invece, dopo qualche pagina, la storia era talmente coinvolgente che non ho potuto fare a meno di amarlo. Grazie al Giro del mondo in ottanta giorni ho scoperto l’universo fantastico di Jules Verne. Per la prima volta, durante la mia giovane esistenza di bambina, mi resi conto di quanto fosse vasto e così diverso il mondo.
Avrei voluto anche io fare quella scommessa che mi avrebbe condotta a saltare su dei treni, piroscafi, traghetti, slitte e sul dorso di un elefante… già perché l’idea dell’India stava già iniziando a farsi largo nelle mie fantasie più recondite… per colpa di mio padre, ma questa è un’altra storia. Leggendo questo romanzo ho capito che il mondo avrei voluto vederlo tutto anche io, ma non in ottanta giorni. E grazie a lui ho realizzato quanto fosse semplice avere un libro per viaggiare con la fantasia.
Sognando l’India…
L’amore viscerale per l’India e il sogno di scoprirla – non ancora realizzato! – è stato alimentato da mio padre e dalle sue letture giovanili. Ricordo quando apparve sul mio comodino una vecchia edizione consumata – probabilmente la sua! – de I misteri della giungla nera.
Non solo la storia di Tremal-nike era avvincente. Ma il commento ricorrente di mio padre alimentava l’amore per quel libro: ti rendi conto che Salgari ha scritto dell’India senza averla mai visitata? E non solo, le sue descrizioni, minuziose e accurate, corrispondono alla realtà! La mente umana è affascinante! Abbiamo tremato per Tremal-nike e ci siamo innamorati di Ada con lui, attraversando la giungla e scoprendo animali feroci. Grazie a Salgari l’India divenne una destinazione ricorrente nei nostri giochi.
Io ho iniziato a sognare l’India, stesa a letto, ascoltando la voce tranquilla di mio padre leggere quelle pagine incredibili, pensando che anche se non avessi scritto un romanzo come Salgari, mi sarei servita del suo libro per viaggiare con la fantasia e scoprire quanto la realtà le somigliasse.
I Caraibi
Avrò avuto nove o dieci anni quando mio padre decise di condividere con me un altro romanzo che lo aveva appassionato durante la sua gioventù: l’Isola del tesoro. Sebbene leggessi ormai dei libri da sola, lasciai che mio padre mi leggesse quell’ultimo libro perché il contesto mi faceva un po’ paura: i pirati non hanno mai avuto la fama di essere gentili. Per spingermi a superare i miei timori e dimostrarmi che la ricerca di un tesoro potesse essere coinvolgente, mio padre mi accompagnò nella scoperta di quel viaggio che dall’Inghilterra ci spinse a raggiungere i Caraibi e le fantomatiche Isole Vergini Britanniche.
Alcune righe continuano a farmi venire i brividi, specialmente quelle più famose: Quindici uomini sulla cassa di un morto… Tuttavia, ricordo con piacere la scoperta di quel libro e il piacere di essere arrivata alla fine.
Solo lo scorso anno ho avuto il piacere di farmi un’idea dei Caraibi, visitando un’isola delle Antille francesi, la Martinica. Durante quel viaggio non solo ho avuto modo di approfondire le mie conoscenze sul passato coloniale francese, ma anche di seguire le orme dei pirati, grandi consumatori di Rhum, ed avere una percezione dei paesaggi in cui si rifuggiavano dopo aver depredato le navi. Probabilmente non è un caso che un film diventato caro alla nostra famiglia sia stato proprio Hook, Capitan Uncino.
Costantinopoli, la luna e la palla di cannone
Ricordo che da quando il libro illustrato fece il suo ingresso in casa non abbandonò più la libreria della mia stanza. Alla nascita di mio fratello, le sue pagine erano tutte consumate, ed io non potevo fare a meno che rimanere affascinata dalle mirabolanti e quasi irreali avventure di questo viaggiatore incallito che era il Barone di Münchhausen.
Tra i miei capitoli preferiti c’era il viaggio casualmente fatto a cavallo di una palla di cannone e quello sulla luna. Tutto in quel romanzo era irreale e grottesco, ma suscitava in me un’ilarità che mi rendeva dipendente da pagine, capitoli ed illustrazioni.
Qualche anno dopo, quando in Italia uscì il film di Terry Gilliam (ex membro dei Monthy Pyton), questo mi deluse: non tanto perché diede un volto umano ad uno dei miei eroi letterari, quanto perché sebbene la fantasia del regista fosse sfrenata, non lo era abbastanza tanto quanto lo avevo immaginato io.
La descrizione dell’avventure del Barone a Costantinopoli ha germogliato in un angolo remoto del mio cervello per anni. Visitando il Palazzo del Sultano ad Instambul ho rievocato le follie di quel folle personaggio, immaginandolo mentre si aggirava tra le stanze di quel castello orientale o nell’harem.
Leggere cambia la vita?
Ho sempre pensato che le letture – ma anche due genitori lettori appassionati – abbiano potuto alimentare le mie curiosità. Ricordo che da bambina credessi che nelle librerie di casa avevamo libri che rispondessero a tutto: dalle enciclopedie per ragazzi (cimeli di gioventù), passando per tantissimi romanzi fino alla saggistica. Ho sempre pensato che a qualunque domanda un libro avrebbe fornito una risposta. Il mio compito, oltre a quello di porre domande, era principalmente cercare.
I libri assaporati durante quel momento che precedeva il sonno non hanno fatto altro che dimostrarmi che quella ricerca di risposte era accessibilissima e a portata di chiunque.
In particolar modo, la scoperta di quegli universi narrativi che aveva risposto alle domande dei miei genitori bambini, in un tempo che mi sembrava lontanissimo, altro non era che un punto di connessione. Leggere non solo mi ha avvicinata a loro e ai bambini che sono stati, mettendoci tutti, il tempo di quelle letture, sullo stesso piano temporale; ma mi ha anche insegnato ad essere assetata di curiosità.
Ho scoperto che esiste un mondo vasto e ricco e che un libro per viaggiare con la fantasia mi ha resa una piccola esploratrice prima ancora che capissi come viaggiare fosse più che una semplice passione.