Chiovi, chiovi, a pasta chi fasoli, a nanna muriu e chiddu chi voli Diu. Ogni volta che piove questa macabra filastrocca mi risuona nelle orecchie. E con lei risuona la voce di mia nonna, giovane, sorridente, incurante della bizzarra associazione di pioggia, pasta e fagioli e la morte di una presunta nonna. Piove. E anche se è una pioggia tropicale a bagnarmi la testa, il viso, le gambe, le mani, quella sensazione di tristezza invade ogni cosa.
Su quest’isola dalla vegetazione rigogliosa, che niente spartisce con la mia, dove il sole brucia tutto, le città sono piccole e modeste. Saint-Pierre, sembra esistere appena. I due assi viari principali sono deserti. Ed alternano palazzi colorati a macerie. La vita e la morte sono accostate in uno strano tango dello sguardo. Eros e Tanatos, abbracciati, invocano passato e presente ad ogni angolo. Saint-Pierre, antica capitale dell’isola, vive nella memoria di ciò che è stato.
Correva l’anno 1902, quando quella che i martinicani chiamano la Montagna Pelée, ha eruttato lava incandescente, radendo al suolo la capitale. Trenta mila vittime in appena due minuti. Oggi ancora in piedi edifici carbonizzati che resistono al tempo, alla salsedine e al vento, per raccontare una tragedia centenaria.
Il teatro municipale, costruito a ridosso della prigione, guarda il mare. Visitare le sue rovine sotto la pioggia, col silenzio assordante di un luogo di memoria, sembra quasi una liturgia del dolore. Sprazzi d’immagini si liberano nella mente. Non occorre aver vissuto di persona la tragedia per rievocare. Immagino madri e padri che abbracciano figli. Uomini ignari del proprio destino. Paura. Fiamme. Terrore. E d’un tratto l’orgoglio di ricostruire lì, proprio lì, dove la natura ha distrutto tutto, ha un senso. La vita resiste.
Sul mare, a poche centinaia di metri, suona un’orchestrina. È il primo maggio, festa dei lavoratori. Di sera ci sarà un concerto. Quella musica caraibica, allegra, rompe il silenzio della memoria e mi riporta alla vita.
Chiovi, chiovi, a pasta chi fasoli. A nanna muriu e chiddu chi voli Diu. Ecco che anche questa filastrocca, che continua a risuonarmi in testa, assume, per la prima volta, un significato. Ciò che accade non sempre ha un senso.